Almanacco 2010-2019
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Dal Pieghevole della mostra .
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Una conversazione di Giulia Guidi, responsabile dell’archivio del Centro Di di Firenze, con Francesca, Silvana ed Ermes Zattoni 

Come nasce l’interesse per Ben Vautier?

è presto detto: è uno degli ultimi agitatori Fluxus. Giancarlo Politi nel 1993 ha pubblicato una lunga intervista a Ben Vautier utile a capire il ruolo che ha anche oggi nell’arte contemporanea.
La nostra attenzione per questo movimento non poteva prescindere da lui. Perché ci interessano le differenze, le marginalità, gli inadeguati, i diversi, i trascurati, le minoranze, le rotture, i sovversivi insomma tutto quello che altri ritengono minore o fuori dagli schemi.
Così nel nostro percorso ci imbattiamo in artisti imprescindibili, come Ben.
Ci interessano le idee più della loro realizzazione.
Ben ha dichiarato di sentirsi un vecchio combattente che ritiene Fluxus importante perché negli anni sessanta ha avuto un ruolo anti-arte, non arte, contro-arte, contro la produzione stessa dell’opera.
Anche se Fluxus non è riuscito a cambiare l’arte che ancora oggi risponde a precise regole di mercato.
Per Ben Fluxus non è mai stato organico alla cultura borghese, infatti i suoi componenti hanno sempre privilegiato la vita che viene dall’arte.
Oggi chi discute di Fluxus non è l’avanguardia newyorkese, ma il mondo pluriculturale e quando John Cage dice che tutto è musica, include quella di tutti, come quando Duchamp dice che tutto è arte apre alle diverse culture, contro il potere del denaro che in Occidente vuole omologare tutto in una sola cultura dominante.  

Parliamo della mostra al Centro Di. Cosa avete esposto?

In mostra c’è pochissima arte nel senso di opere tradizionali, mentre si privilegia un certo numero di materiali e documenti di Ben, a partire dall’inizio degli anni sessanta. Alcuni fuori circolazione o esauriti perché destinati a interagire in un preciso momento. Altri sono documenti teorici, di lavoro, propositivi, dialoganti. Ad esempio parole scritte, soprattutto parole dattiloscritte su carta, raccolte da Dany Gobert durante la sua relazione con Ben nell’esperienza del Théâtre Total, che a partire dal 1962 ha proposto azioni, happening, eventi dove la partecipazione diretta del pubblico eliminava la separazione tra spettatori e attori. Una specie di shock teatrale vero e proprio per coinvolgere e comunicare un messaggio o un’idea tramite la sua azione reale.
Completano l’esposizione la “Newsletter” di Ben, una sezione dedicata alla nostra attività che raccoglie i cataloghi delle mostre organizzate e le edizioni curate e una piccola scelta di materiali relativi a esponenti di Fluxus come George Maciunas, Yoko Ono, Robert Watts, George Brecht.  

Collezionare arte contemporanea significa a volte entrare in contatto diretto con l’artista; è successo anche con Ben?

Abbiamo acquistato nel 1992 Encore une année de passée a ne rien foutre, un’opera nella quale l’ironia è una delle chiavi di lettura per comprendere il provocatorio lavoro dell’artista.
Ma l’incontro vero e proprio con Ben è avvenuto grazie all’opera Pas d’art del 1964, acquistata a Nizza nel 2010, appartenuta a Dany Gobert.
Un incontro motivato dall’interesse a comprendere il significato che aveva l’opera per l’artista stesso, essendo un quadro storico.
Quello che ci interessa è capire come il collezionista può entrare nel percorso che l’artista compie.
Le possibili relazioni che si possono instaurare e quali occasioni vengono offerte, al di fuori della stringente logica mercantile, a chi è un piccolo collezionista.
Quando è possibile fare un percorso parallelo che prevede incontri, occasioni, mostre, fortunatamente più culturali che altro, allora ci rendiamo conto di non aver acquistato solo un’opera d’arte ma molto di più: un’occasione di vita.
La scelta di comprare Pas d’art è legata alla serie di documenti che il precedente proprietario aveva conservato.
Il primo giorno del 2011 siano andati a casa di Ben a Saint-Pancrace per incontrarlo e quando ha visto l’opera ha esclamato: “Non è mia!”.
Fortunatamente Annie, la moglie, ha una memoria viva e gli ha ricordato che il quadro era stato realizzato per un’occasione teatrale e la scritta non è stata creata colando il colore sulla tela ma in modo tradizionale.
Così è nato un rapporto cordiale e siamo tornati in Italia con il quadro, alcune foto e sei bottiglie di “le jaja de jau” a ricordo dell’incontro. Un buon Syrah del 2008 che nell’etichetta sul retro riporta: “Le jaja c’est le mot d’argot pour vin de tous les jours, le vin plaisir, le vin de soif”.
Ne sono seguiti altri di incontri. Anni prima alla galleria Centre du Monde avevamo conosciuto Luna, un dolce mastino napoletano inseparabile per Ben.
Sono continuate le visite, i dialoghi, a Saint-Pancrace. Luna non c’è più, ma ci sono altri tre molossi del Sud Italia meno socievoli.
Il nostro interesse per il Sud della Francia ci ha portato a frequentare la Galerie Espace à debattre et Espace A VENDRE, sempre a Nizza, e a partecipare alle serate organizzate da Ben come performer.
Alcune fotografie esposte in mostra raccontano la sua inesauribile vitalità. 

Il rapporto con Ben Vautier si è limitato agli incontri o continua in altre forme?

Dal 2 marzo 2011 Ben ha iniziato a inviarci le sue email quasi settimanali. Siamo arrivati a oltre 2.500 pagine di vita raccontate direttamente, che costituiscono un corpus originale della personalità dell’artista. C’è tutto Ben, a 360 gradi.
Quando il Centro Di, che ha una storia bellissima alle spalle di edizioni d’arte iniziata nel 1968, ci ha chiesto di esporre quello che avevamo raccolto su Ben, è stato subito naturale che la mostra fosse imperniata sulla relazione dell’artista con il collezionista.
Abbiamo ritenuto di dare un ‘corpo’ ai pensieri di Ben espressi nell’arco di 2.759 giorni, attraverso le sue “Newsletter”, perché le parole ricevute sono la testimonianza che l’artista ha scelto di parlare con gli altri usando una tecnologia (la posta elettronica) oramai datata, ma efficace.
Ha scelto di scrivere anche a noi. Quindi perché non farci venire un’idea? Perché non dare una fisicità ai pensieri?
Non un libro, ma qualcosa che deve essere in divenire. Un contenitore di parole. Anche estraibili.
Seppur la tentazione di avvicinarsi al secondo catalogo pubblicato dal Centro Di, Alternative attuali 3, vista la mole delle parole, era forte: un nero blocco di carta, un parallelepipedo. In mostra si è potuto vedere il risultato della decisione finale. 

Parliamo ora un po’ più in generale della vostra collezione, di cui il materiale di Ben non è che una piccola sezione. Quando, come e perché è iniziata?

Se per collezione si intende la raccolta di opere di interesse storico o artistico di rilievo, quindi anche economico, non è il nostro caso. Quello che abbiamo compiuto è semplicemente un percorso culturale, dettato dalla curiosità e dal piacere personale che si prova a percorrere strade poco ortodosse.
Le prime opere entrate nella nostra collezione, a metà degli anni settanta, sono state quelle dell’Arte Povera. Quando si potevano comprare a prezzi accessibili i lavori di Boetti, Calzolari, Fabro, Kounellis, Merz, Paolini, Penone, Pistoletto, Prini abbiamo pensato che il testo di Celant pubblicato da Mazzotta Editore non doveva essere la sola traccia a farci quotidiana compagnia.
Nel 2000 abbiamo esposto alla Galleria Rigo di Novigrad alcune opere della nostra collezione assieme a quelle di Abramović, Agnetti, Cage, Chiari, Cintoli, Isgrò, LeWitt, Mondino, Parmiggiani e dei Poirier.
La prima cosa che ci guida nelle scelte è l’interesse per il libro in quanto contenitore attivo di sapere.
Quindi se qualcuno ci vuole vedere come collezionisti d’arte deve partire dal nostro interesse per la carta stampata.
Sì, siamo certamente collezionisti della parola e dell’immagine riprodotta in forma editoriale non banale e sorprendente, prima ancora che di opere. 

Carmelo Romeo Lillo 1972 Germinale Dal catalogo inedito

Quale concetto vi guida nella vostra pratica di raccolta? Quali criteri avete seguito per strutturare la collezione?

Un’opera entra a far parte di noi nel momento in cui viene a completare il lavoro di ricerca e riscoperta nel quale siamo impegnati in quel preciso momento. Per essere più chiari, quando negli anni ottanta abbiamo acquistato Relazione nel tempo di Marina Abramović dalla G7 di Bologna, pochissimi in Italia erano interessati al suo lavoro. Per noi è stato l’atto iniziale della ricerca sull’arte jugoslava. Abbiamo conosciuto Julije Knifer, Ivan Picelj, Josip Vaništa, Ivan Kožarić, Goran Trbuljak, Sanja Iveković, Vlado Martek, Vlasta Delimar, Željko Kipke, Đanino Bozic e tanti altri e le loro opere sono entrate a far parte della nostra raccolta. Nel 2002 abbiamo ospitato molti di loro a Ravenna in una mostra sull’arte contemporanea croata. è pertanto iniziata una relazione che dura nel tempo. Nel 2013 il Pompidou ha pubblicato il volume Art conceptuel inserendo nella pubblicazione, oltre a Mangelos di Gorgona, Vlado Martek e Mladen Stilinović. Il curatore Michel Gauthier ha incluso per la prima volta artisti non occidentali e ha dedicato la copertina a Mangelos. è stata la conferma della ricerca compiuta e dell’atteggiamento attivo rispetto ad artisti in quel momento privi di mercato. Nel 2007 Francesca, laureatasi in Storia dell’arte con una tesi su Gorgona ed il valore simbolico dell’azione, ha editato – come prima aveva fatto con il ciclo di fotografie Lady Godiva di Vlasta Delimar – il libro d’artista Attention, sad works di Vlado Martek. Ora molti di loro sono protagonisti del lavoro di gallerie internazionali di assoluto rilievo. Nel 2009 il Mumok di Vienna ha organizzato Gender Check, una mostra sul genere nell’arte dell’Est Europa. Raggruppa il lavoro di 227 artisti contemporanei e come unici prestatori italiani abbiamo avuto un piccolo riconoscimento: l’opera in copertina del significativo catalogo è la nostra opera Neću di Vlado Martek.
Da anni stiamo raccogliendo opere, materiali, documentazione sul Situazionismo, il Lettrismo, il Gruppo 58 e Zaj. Dopo aver esposto nel 2001 i Piatti per la poesia nati da un’idea di Gianni Sassi, uno degli agitatori che più hanno segnato l’ultima parte del secondo ’900 nell’arte, nella musica, nella danza, nella poesia, nella performance (nel 1978 ha organizzato il Treno di John Cage che è stato l’esordio in Italia di questo grande sommovitore culturale), con i lavori di Nanni Balestrini, John Cage, Juan Hidalgo, Jean-Jacques Lebel, Walter Marchetti, Antonio Porta, Adriano Spatola, Luigi Ballerini, Takako Saito, Gianni-Emilio Simonetti siamo arrivati alla poesia d’avanguardia. Dal Gruppo 63 il passaggio alla Poesia Visiva e Concreta è stato quasi naturale.
La nostra ricerca sull’editoria d’arte continua, è la cosa che ci vede più impegnati. Attualmente stiamo raccogliendo quello che ha pubblicato Alvaro Becattini con Exit Edizioni e il lavoro di Mario Mariotti.  

Le scelte seguite nella raccolta hanno permesso di instaurare altre relazioni oltre a quella con Ben?

Quasi tutto quello che è entrato in relazione con noi ci ha dato l’occasione per stabilire rapporti che spesso sono andati oltre alla tradizionale relazione fra artista e collezionista. Soprattutto quando l’autore è un protagonista che le leggi mercantili sono portate a trascurare. L’amicizia è il terreno frequentato con artisti che rivestono assoluta importanza nel nostro percorso. Lo è stato per Picelj, Knifer, Vaništa, ormai scomparsi. Ad esempio per la mostra di Almir Mavignier alla Galleria Rigo nel 2005 abbiamo editato Addition and subtraction on the poster. Mavignier è l’artista brasiliano ultranovantenne, scomparso da poco ad Amburgo, che mise in contatto Piero Manzoni con i protagonisti di Gorgona.
Ci fa piacere ricordare il rapporto che abbiamo con Lillo Romeo e Luciano Trina, ultimi esponenti dell’esperienza Ufficio per l’immaginazione preventiva. Comprando un’opera di Tullio Catalano è iniziata la nostra indagine su quel percorso artistico e abbiamo scoperto un’esperienza romana vicina, in qualche modo, a Fabio Mauri, che poco ha avuto a che fare con la quasi contemporanea attività degli artisti di Piazza del Popolo.
Con Maurizio Benveduti e Franco Falasca hanno fatto un lavoro politico dove i linguaggi utilizzati superavano il quadro e si esprimevano con riviste come ‘Imprinting’ e ‘Aut.Trib.’, poster, manifesti, striscioni, filmati proiettati al cinema nell’intervallo fra un film e l’altro. In questa esperienza sono stati coinvolti molti artisti, Claudio Cintoli in primis.
Con Lillo e Luciano nel 2011, quando Doria García li ha invitati a esporre al Padiglione della Spagna alla Biennale di Venezia nel suo progetto su L’inadeguato, Francesca ha firmato con loro la pubblicazione da noi prodotta. Un nuovo “Avviso alla popolazione”, così come era stato fatto negli anni settanta, con quelli sull’arte. 

La vostra collezione è consultabile e accessibile? Sono state organizzate mostre?

Uno dei temi centrali del nostro percorso è la riscoperta di artisti e gruppi quasi completamente trascurati dalla critica e quindi anche dal mercato. Dagli anni ottanta stiamo acquistando le opere di Claudio Cintoli, artista a nostro parere fra i più interessanti del ’900. Oggi le opere che abbiamo in collezione sono quasi 150, ma non costituiscono la parte più significativa perché è la documentazione di cui siamo venuti in possesso che ci rende orgogliosi del lavoro fatto: documenti originali, foto, corrispondenze, la sua biblioteca dove abbiamo trovato testi straordinariamente rilevanti. La mostra Dialoghi 3.0 Pino Pascali – Claudio Cintoli, inaugurata nel marzo 2018 dalla Fondazione Museo Pino Pascali, ha confermato la correttezza del nostro lavoro.
La collezione è accessibile principalmente attraverso l’attività di organizzazione di esposizioni. Nel 2016 in Croazia abbiamo esposto sedici delle nostre opere per la mostra Claudio Cintoli / oggetti della mia attenzione 1962-1975 (prima di incontrare Marcanciel Stuprò).
Di mostre ne abbiamo fatte altre. Come Riflettere con Pistoletto nel 2007, a Zagabria al Dom HDLU, la Casa degli artisti della Croazia, dove abbiamo esposto i multipli specchianti degli anni settanta della nostra collezione. Ma non è stata l’unica manifestazione. In quell’occasione si è tenuta Amare le differenze per creare un dialogo fra i popoli del pianeta e affrontare il tema dei contrasti politici, religiosi, sociali ed economici, dove i partecipanti si sono riuniti attorno a quattro tavoli che riproducevano altrettanti mari.
L’interesse per la Poesia Visiva ha portato Francesca a curare la mostra Lamberto Pignotti – Poesia visiva (e non solo visiva) e molte delle opere esposte sono entrate a far parte della nostra collezione.
Dagli anni ottanta raccogliamo materiale Fluxus. Abbiamo reperito nei nostri viaggi per l’Europa (Londra e Parigi, ma anche in Germania e Amsterdam) molta documentazione degli anni sessanta e settanta e quindi è stato inevitabile concentrarsi sul lavoro svolto da Yoko Ono e John Lennon dopo il loro incontro. Ed è emersa immediatamente l’influenza che ha avuto Yoko sull’ex Beatles. Nel 2017 Francesca ha curato in Croazia la mostra Dreaming Peace che ha avuto un grande successo. In mostra è esposto il relativo catalogo e si potrà cogliere il lavoro di ricerca condotto, che fra l’altro ci ha portato a impegnarci sul progetto di un film documentario sui loro anni di relazione.